Un team di astronomi dell’Università di Copenaghen ha compiuto un passo significativo nella loro indagine sulla materia oscura, spostando il focus dalla ricerca in laboratorio all’osservazione del cosmo. Recentemente, hanno analizzato la luce emessa da 32 sorgenti cosmiche, incluse galassie attive alimentate da buchi neri supermassicci, per cercare indizi sugli elusive assioni, particelle teoriche che potrebbero costituire una parte fondamentale della materia oscura.
La materia oscura: un enigma universale
La materia oscura rappresenta circa l’85% della massa dell’universo ed è una componente misteriosa che non emette luce, interagendo con la materia ordinaria esclusivamente attraverso la gravitazione. Gli assioni, se esistenti, sarebbero particelle estremamente leggere e poco interattive, il che spiega il fallimento dei tentativi di individuarli direttamente fino ad ora.
Strategia di ricerca innovativa
Per affrontare questa complessa sfida, il gruppo di ricerca ha deciso di utilizzare i campi magnetici presenti negli ammassi di galassie come laboratori naturali. Secondo le teorie attuali, quando un fascio di radiazione luminosa attraversa questi campi, alcuni fotoni potrebbero temporaneamente trasformarsi in assioni, per poi riconvertirsi in luce, lasciando piccole irregolarità nei dati raccolti.
Un segnale coerente emerse dalla confusione
Inizialmente, i segnali provenienti dalle diverse sorgenti sembravano solo un rumore di fondo indistinguibile. Tuttavia, combinando i dati di tutte e 32 le sorgenti, i ricercatori hanno identificato un segnale coerente: una struttura a gradini, esattamente come previsto dai modelli teorici per la conversione fotone-assione. Oleg Ruchayskiy, uno degli autori dello studio, ha descritto questo risultato come un momento in cui “il brusio del cosmo si è trasformato in un sussurro riconoscibile”.
Prospettive future e possibili conferme
Sebbene questo risultato non rappresenti una scoperta definitiva, ha contribuito a ridurre l’area di incertezza in cui gli assioni potrebbero nascondersi. Questo consente ai ricercatori di escludere ampie regioni di parametri e di focalizzare le loro ricerche future su aree più specifiche. Lidiia Zadorozhna, coautrice della ricerca, ha sottolineato come questa strategia abbia permesso di “mappare vaste zone dove gli assioni non possono trovarsi, restringendo le possibilità”.
Un metodo replicabile a livello globale
Particolarmente interessante è che questo approccio può essere replicato utilizzando altre frequenze di radiazione, come i raggi X, e potrebbe essere adottato da diversi gruppi di ricerca a livello globale. Se i futuri esperimenti dovessero confermare il segnale, gli assioni potrebbero finalmente offrire spiegazioni sull’origine della materia oscura, un enigma che la cosmologia si porta dietro da quasi un secolo. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Astronomy e sono disponibili per la consultazione.