La procura di Pavia è attualmente impegnata nell’analisi di una nuova teoria riguardante il caso di Chiara Poggi, un omicidio che ha profondamente scosso l’Italia e che ha portato alla condanna di Alberto Stasi a 16 anni di carcere. Le recenti indagini suggeriscono che l’assassino potrebbe non aver lavato né il lavandino né il dispenser del sapone nella casa della vittima, implicando che non si sarebbe neppure lavato le mani dopo il crimine.
La sentenza sull’omicidio di Garlasco
Il processo che ha condotto alla condanna di Stasi si è fondato su prove determinanti, tra cui due impronte riconducibili a lui trovate sul dispenser del sapone nel bagno di Chiara. La versione ufficiale sostiene che, dopo aver commesso l’omicidio, Stasi avrebbe utilizzato il sapone e il lavandino per pulirsi le mani, eliminando ogni traccia di sangue. Tale comportamento giustificherebbe non solo le impronte sul dispenser, ma anche l’assenza di sangue nel lavandino.
Una fotografia scattata subito dopo il delitto, allegata alla consulenza di parte civile, mostra il bagno di Chiara in condizioni che avrebbero potuto avvalorare la teoria della pulizia. Tuttavia, la nuova ipotesi solleva interrogativi sulla veridicità di questa ricostruzione.
La nuova ipotesi della procura
Nel 2020, gli investigatori hanno tentato di riaprire il caso, mettendo in discussione l’idea che il lavandino e il dispenser fossero stati puliti in modo così meticoloso dall’assassino. Le analisi hanno rivelato la presenza di numerose impronte papillari sul dispenser, segno che non corrisponde a un lavaggio accurato. Inoltre, durante i sopralluoghi iniziali, sono stati rinvenuti quattro capelli neri e lunghi all’interno del lavandino, mai repertati, che contraddicono ulteriormente la teoria di una pulizia approfondita.
Le analisi sulle impronte
Attualmente, resta un mistero a chi appartengano le impronte e i capelli rinvenuti. Per questo motivo, la procura ha deciso di procedere con un incidente probatorio. L’obiettivo è analizzare i residui presenti sugli indizi raccolti durante le indagini, utilizzando tecnologie per l’analisi del DNA che non erano disponibili all’epoca del primo processo.
Questa iniziativa è cruciale per chiarire eventuali dubbi sui reperti, considerando gli errori commessi durante le prime fasi delle indagini nel 2007. È emerso che diversi carabinieri, intervenuti sulla scena del crimine, non indossavano calzari protettivi né guanti, e alcuni di loro hanno persino utilizzato il bagno di casa Poggi, rischiando di contaminare le prove.
La questione si fa sempre più complessa e intrigante, con la procura che cerca di fare luce su un caso che continua a sollevare interrogativi e a suscitare l’interesse dell’opinione pubblica.